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Una soluzione alle infezioni ospedaliere con i probiotici.

17/04/2018 by francoconti Leave a Comment

Usare probiotici per contrastare le infezioni ospedaliere potrebbe diventare la nuova frontiera della prevenzione delle infezioni ospedaliere.

In Europa ogni anno, circa 3,2 milioni di pazienti contraggono un’infezione in ospedale e di questi 37.000 muoiono. In Italia le infezioni ospedaliere causano ogni anno più vittime degli incidenti stradali.

Di cosa parliamo? Di infezioni urinarie, ferite chirurgiche, polmoniti e sepsi.

Le infezioni ospedaliere, definite dalla sigla ICA (infezioni correlate all’assistenza), rappresentano un problema che coinvolge fino al 15 per cento dei pazienti ospedalizzati in tutto nel mondo.

E’ un grosso problema sia quantitativo visto i numeri riportati che qualitativo visto le problematiche legate alla resistenza agli antibiotici, che ci costringono a cercare sempre nuove armi da utilizzare.

Anche l'igiene degli operatori va rivista, infatti è importante ricordare costantemente al personale ospedaliero che è inutile usare macchinari sofisticati se poi le mani non sono pulite e adeguatamente disinfettate.

I disinfettanti chimici usualmente utilizzati mostrano dei limiti nel controllare la contaminazione e nel prevenire la ricontaminazione.

E’ stato allora proposto un innovativo sistema per ridurre la carica batterica di oltre l’80%  e per azzerare la resistenza agli antibiotici riducendo anche i costi.

Efficacia del sistema di pulizia e sanificazione denominato PCHS (Probiotic Cleaning Hygiene System) con particolare riferimento al trattamento di superfici e ambienti ospedalieri.

La PCHS è una metodologia innovativa incentrata sulla competizione biologica.
che si basa sull'igienizzazione dei reparti ospedalieri e delle sale operatorie uisando probiotici al posto dei disinfettanti chimici.

I probiotici sono microorganismi che non generano malattie  ed hanno la capacità di colonizzare il campo microbiologico, impedendo la crescita dei patogeni semplicemente per un effetto di competizione biologica, sostituendosi ad essi sulle superifici.

I risultati sono straordinari, si diminuisce la presenza di agenti patogeni nei nosocomi di oltre l’80%, e sorprendentemente riducono i geni di resistenza agli antibiotici riducendo le infezioni di oltre il 50% , con un abbattimento dell’80% dei costi antibiotici”.

Questi risultati indicano che questa procedura di sanificazione con probiotici possa determinare un vero e proprio cambio culturale, infatti non si tratta semplicemente di pulire gli ambienti ma di produrre igiene, riducendo le resistenze e mantenendo  bassi i livelli di microrganismi patogeni, contribuendo efficacemente alla riduzione del rischio infettivo”.

Filed Under: news Tagged With: antibiotici, ICA, infezioni, PCHS, phcs, probiotici, resistenza

Alzheimer. Nuova classificazione.

15/04/2018 by francoconti Leave a Comment

Un’interessante proposta si affacia nel mondo dell’Alzheimer: cambiare il modo di definire la malattia neurovegetativa per permettere di inquadrarla meglio e di migliorare la ricerca scientifica.
L’Alzheimer’s Association e il National Institute of Aging americani hanno pubblicato nuove linee guida sulla valutazione di questa malattia sulla rivista Alzheimer & Dementia, The Journal of the Alzheimer’s Association.

Le nuove linee guida prevedono un inquadramento su parametri biologici misurabili a livello cerebrale e non più su aspetti meno specifici, come la perdita di memoria o il declino cognitivo.

Nell’ambito delle nuove proposte avanzate dagli esperti, la malattia di Alzheimer sarebbe caratterizzata da tre fattori:

evidenze della presenza di due proteine anormali associate con l’Alzheimer, beta amiloide e tau,
evidenza di neurodegenerazione
e morte delle cellule nervose,

che possono essere evidenziate mediante test di imaging o a livello del liquido cefalorachidiano.

Inoltre, le nuove linee guida includono misurazioni della gravità della malattia sulla base di biomarker e una scala di valutazione del deterioramento cognitivo.

Questa nuova definizione ha l’obiettivo di dare un nuovo impulso alla ricerca

Filed Under: news Tagged With: alzheimer, demenza, linee guida

Una ricerca genetica che non finisce mai.

13/06/2017 by francoconti Leave a Comment

There has never been a scientific career quite like Mary-Claire King’s. Years ago, her doctoral thesis concluded that humans and chimpanzees were, genetically speaking, 99 percent the same — a revolutionary thought. Her later work on human cancers resulted in the discovery of the so-called breast cancer gene, BRCA1, which transformed the diagnosis and treatment of the disease.

Besides her traditional scientific pursuits, Dr. King created genetic tests to help ascertain the identities of victims of political violence in places like Rwanda and El Salvador. And she did all this as a single mother raising a daughter.

Dr. King, 68, is now a geneticist at the University of Washington. We spoke in New York last fall, after she was awarded the prestigious Lasker Prize. A condensed and edited version of the interview follows.

Q. HOW DID YOU BEGIN STUDYING THE GENETICS OF BREAST CANCER?

A. Through a roundabout route. I studied statistics in graduate school in Berkeley in the late 1960s. It was there that I took a genetics course, fell in love with it, changed fields and never looked back. Just after I finished my Ph.D., I went to Chile to teach, but the military coup of September 1973 ended all that. Some of my students didn’t survive. I soon left. Back in the Bay Area in early 1974, I needed a job and was very lucky to be offered one at the University of California, San Francisco, studying breast cancer.

Of course, breast cancer wasn’t my field. But I thought genetics, evolutionary biology and statistics might add something to the newly launched War on Cancer. And my closest childhood friend had died of cancer. I wanted to try.

IN THE 1970S, WHAT WAS THE PREVAILING THEORY ABOUT BREAST CANCER’S CAUSE?

The dominant theory was that cancer was viral. I thought that inheritance had to be involved in at least some families. Luckily for me, the National Cancer Institute was studying oral contraceptives and was interviewing 1,500 women with breast cancer. I asked to add questions about family history to the study. Did the patients have close relatives with breast cancer? Ovarian cancer?

Then I asked a statistical question: “Does breast cancer cluster in families more than we’d expect by chance?” The answer was yes. Of all possible explanations, the statistically most likely was a gene with mutations responsible for breast cancer in about 4 percent of patients.

But the gene was hypothetical. The best way to prove that it existed was to find it. In 1990, my group published evidence that the gene we named BRCA1 mapped to human chromosome 17. My paper triggered a race in public and private laboratories, including my own, to clone the gene.

AFTER CLONING THE GENE, MYRIAD GENETICS GOT A PATENT ON IT. HOW DID YOU FEEL ABOUT THAT?

I was enormously relieved when BRCA1 was cloned. It meant we could get on with understanding how mutations in it led to breast cancer. But over the next months, the patent issue became a real bear. Myriad demanded exclusive use of BRCA1.

Previous genetic patents had been licensed nonexclusively and hadn’t made a ripple in how genes were used in research or diagnostics. But Myriad’s test cost more than $3,000, and there was only one place to obtain it. For many women, it was not covered by insurance and was too high to manage out of pocket.

DID THIS EXCLUSIVE PATENT INHIBIT RESEARCH?

At one point, I received a cease-and-desist letter from Myriad’s legal department demanding that I stop studying BRCA1. By then, my lab was at the University of Washington in Seattle. Our state attorney general’s office wrote the company that I had been working on the problem since 1974, was carrying out publicly funded research and was not marketing a test — or anything else. The A.G.’s office also wrote that they would represent me if the company persisted. I heard nothing more.

HOW DID YOU FEEL WHEN THE SUPREME COURT RULED IN 2013...

To end the patent! I felt terrific! The court ruled, 9-0, that genes are natural products and cannot be patented. Since then, testing is far more widely available and the price has fallen significantly.

YOU RECENTLY PUBLISHED A PIECE IN JAMA SUGGESTING THAT EVERY WOMAN OLDER THAN 30 SHOULD GET THIS TEST.

I believe that every woman should be offered testing of BRCA1 and BRCA2 at about age 30 as part of routine medical care. About half of women who inherit mutations in BRCA1 or BRCA2 have no family history of breast or ovarian cancer and have no idea they are carrying cancer-causing mutations.

Most of inherited breast and ovarian cancer can be prevented, if mutation carriers know who they are. Granted, the solution is not pretty. It requires removing the ovaries and fallopian tubes by about age 40 in order to eliminate almost all of the ovarian cancer risk and to reduce breast cancer risk by about half.

Some women opt also for prophylactic mastectomy to reduce the breast cancer risk almost to zero.

YOU HELPED PIONEER THE USE OF GENE TESTING TO HELP RECTIFY HUMAN RIGHTS VIOLATIONS.

In 1983, I was contacted by a group of Argentinian women — the Grandmothers of the Plaza de Mayo — who wanted to find their kidnapped grandchildren. During the military dictatorship in Argentina between 1975 and 1983, thousands of young leftists were “disappeared.” Some of these young adults had infants, and some of the young women were pregnant when they were taken. The infants were given to couples connected to the military.

The grandmothers wanted to identify these children.

HOW WERE YOU ABLE TO DO THAT?

Mitochondrial DNA is inherited only through mothers and is highly variable. It was the perfect tool to link a child to his or her maternal family. The grandmothers have reunited more than a hundred children with their families, the most recent only a few months ago.

Filed Under: news Tagged With: brca1, brca2, test genetico

Orzaiolo: una fastidiosa infezione oculare.

08/11/2016 by francoconti Leave a Comment

L’orzaiolo è un’infezione provocata da un’infiammazione acuta che si sviluppa a carico delle ghiandole sebacee o sudoripare dei follicoli delle palpebre.

In base alla sua localizzazione può essere esterno oppure interno, se è interno si tratta di un evento raro e di maggior gravità.

E’ causato il più delle volte da un batterio chiamato Stafilococcus aureus, che è un batterio normalmente presente sulla cute e che quindi può infettare in qualsiasi momento.

Il suo nome “aureus” è legato al fatto che le sue colture si colorano di giallo come l’oro, per la presenza di carotenoidi.

Recentemente si è scoperto che la canapa indiana (cannabis indica) agisce sul batterio come potente antibiotico uccidendolo e contrastandolo.

COME SI PRESENTA

Si manifesta come un gonfiore, un arrossamento della palpebra, che provoca dolore e sensazione di corpo estraneo.

L’orzaiolo è una piccola massa dura e tondeggiante, che assomiglia ad un piccolo brufolo, e si trova sulla parete interna o esterna del margine palpebrale.

Si può presentare anche fotofobia e lacrimazione.

Al centro della massa si osserva puntino giallo che segnala la maturazione dell’orzaiolo.

Il calazio è invece una cisti granulosa che si forma per un’infiammazione cronica della ghiandola di Meibomio il cui dotto escretore si ostruisce.

Come detto prima l’orzaiolo è causato da batteri per cui bisogna evitare che essi vegano a contatto con gli occhi e le palpebre per cui si consiglia di non stropicciare gli occhi con le mani se non sono state lavate con cura.

TERAPIA

La terapia consiste nell’utilizzo di colliri o pomate oculari a base di antibiotici prescritti dal medico oculista se la lesione è drenante.

Nel giro di pochi giorni si dovrebbero verificare la rottura spontanea, il drenaggio e il riassorbimento dell’orzaiolo e l’attenuazione dei sintomi in concomitanza con la guarigione dell’infezione.

Non bisogna mai incidere da soli l’ascesso per evitare il propagarsi dell’infezione.

Filed Under: news Tagged With: calazio, carotenoidi, collirio, fotofobia, lacrimazione, orzaiolo, stafilococcus aureus

Antibiotici. Una volta su 2 viene prescritto quello sbagliato

02/11/2016 by francoconti Leave a Comment

Le linee guida italiane dell’AIFA fanno alcune raccomandazioni:

non usare antibiotici per il raffreddore o l’influenza,

assumi antibiotici solo su prescrizione medica,

quando assumi antibiotici prendili nelle dosi e nei tempi indicati dal medico.

Ora una studio pubblicato sul Journal of the American Medical Association – JAMA Internal Medicine e condotto presso i Centers for Disease Control and Prevention e la University of Utah ci rivela che la metà degli antibiotici prescritti non sono quelli giusti.

L’analisi
Gli esperti hanno analizzato tre tipi di malattie

mal di gola (faringite),

mal d’orecchio(otite) e

sinusite

quelle in cui è più frequente che il medico prescriva un antibiotico.

E’ emerso che in circa un caso su due l’antibiotico prescritto non è corretto.

Da un precedente studio era risultato che in un terzo dei casi l’antibiotico non serviva neppure per assicurare la guarigione.

Quando un paziente assume un antibiotico sbagliato, non solo il più delle volte non guarisce, ma aumenta anche il rischio che si sviluppino farmaco-resistenze e quindi batteri super-cattivi. Dallo studio è anche risultato che l’antibiotico più prescritto in modo errato è l’azitromicina, un farmaco ad ampio spettro e quindi non certo di prima linea, che andrebbe dato solo in caso di fallimento di altre precedenti terapie.

Filed Under: news Tagged With: antibiotici, azitromicina, faringite, otite, sinusite

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Franco Conti, farmacista, maratoneta, fondatore del sito "blogdelfarmacista.com" Read More…

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